lunedì 8 gennaio 2007

Memorie su Ortigia

MEMORIA SU ORTIGIA E SIRACUSA Ronco profumato di gelsomino Settembre 1970 Vagare per conoscere Ortigia è stato come un sogno che ho vissuto quando ero ragazzo. Iscritto al primo anno della scuola d'arte di Siracusa, in Via Mirabella. Strada stretta come del resto, a parte alcuni slarghi, la maglia urbana della città greca: la piazza semiovale della cattedrale, il quadrato barocco di piazza Archimede, con la sua fontana, e poi l'ampio corso che dava e dà luce a quei meandri e vicoli e ronchi di cui si compone la parte antica di Ortigia. Il corso Matteotti che scendeva verso la terraferma e piazza Pancali, zona del mercato, e i suo unico ponte raccordava la parte umbertina dell'isola con il resto della città. Il vicolo o via dov'era posto l'istituto è quasi a metà percorso del corso Matteotti. E in un attimo dalla strada colma di negozi alla moda passavi alla dimensione profumata di un paesello siciliano con i suoi odori, le sue voci, le sue caratteristiche parlate tipicamente siracusana che si miscelavano ai dialetti dei paesi vicinori. Vecchie signore affacciate alle porte delle loro anguste case guardano gruppi di ragazzi che percorrevano rumorosi l'antica rua. E incrociando il loro altero sguardo e la loro fredda espressione vedevi nel loro volto greco e nelle loro rughe la descrizione di un mondo a se stante. Una atavica e profonda dimensione di antico promanava da quelle viuzze piene di cartacce che odoravano di pesce che le folate di vento incanalavano dal lungo mare di levante. Folate di vento che trovavano sfogo in quei budelli fatti di case dalle cui finestre guardavi alle finestre di fronte e che visivamente era come convivere in una casa collettiva. Dove non potevi avere un minimo di privata pace. E per ottenerne un poco, di fatto, spesso, queste finestre risultavano chiuse, sbarrate. Era settembre i primi giorni di scuola in una classe d'artisti in nuce. Dove belle ragazze speranzose di intraprendere ed esprimere, in quella muffosa scuola senza luce, tutta la loro ricchezza espressiva volteggiavano come farfalle multicolori. E nella speranza giovanile di essere espressioni d'arte curavano il loro corpo e il loro aspetto come novelle cantanti. Una di queste, proveniente da Avola, per abbandonare la grecità, mi spiegò, lungo il viaggio in corriera, si stirava i capelli lungi e castani con il ferro da stiro. Stereotipi tipici di una leggiadra avvenenza primordiale di derivazione greca venivano, così, con mio riflessivo contegno interrogativo, violentate dalle nuove mode che volevano le ragazze, rigidamente, con i capelli lisci. Il ripudio del ricciolo si avvertiva anche tra i maschi e uno dei maggiori problemi della nostra giovinezza, ma non solo, è stata la probabile scelta di come portare la scrimatura. I tentativi devo dire sono stati tanti e per seguire le mode del momento topico c'è stato un attimo che con due miei compagni di scuola media, in un pomeriggio di gioiosa creatività, siamo diventati biondi come i Rochet. Quello della scrimatura, dobbiamo ammetterlo, è una delle prerogative di libertà espressiva che rimane immutata nel corso dei secoli. Dopo i primi iniziali viaggi in corriera ed essendo abbastanza disagevole fare andata e ritorno mia madre, per mezzo di una signora che abiatava vicino a casa mia, il cui figlio lavorava acome infermiere all'ospedale di Siracusa: mi trovo di dividere una stanza con lui. Praticamente non lo vedevo mai anche se dormivamo nella stessa stanza. Perchè lui arrivava tardi quando io dormivo e se ne andava prestissimo al mattino. Nel corso della mia permanenza in quella casa, che nel complesso è durato quattro settimane, l'ho incontrato solo una volta iniziale: per un brevissimo saluto di accoglienza. La signorina che affittava la stanza era una tipa alquanto strana. Il suo unico parente e amico era un cane di grossa taglia a cui voleva un bene per certi versi sospetto. Le stranezze della vita si manifestavano in quel ronco che tuttavia profumava di intenso odore di gelsomino. Poichè nella terrazza della casa, con i tetti spioventi, che si trova a pochissimi passo dalla fonte Aretusa, vi era piantata una pianta di gelsolomino. I cui filamentosi rami facevano ombra alla veranda sovrastata da strutture in ferro battuto che inanellavano fili in acciaio zingato che realizzavano una trama che serviva da supporto sia al gelsomino che ai tralci marroni con le foglie verdi con venature paglierine, carichi ancora d'uva bionda, ad un pergolato...Mentre il gelsomino proveniva da una grossa anfora, il piede del tronco scuro del pergolato proveniva da un giardinetto interno, di pochi metri quadrati, dove al centro vi era anche la bocca di una cisterna d'acqua con tanto di carrucola e secchio. Dpo la scuola che era fatta di prove e di disegni andavo a mangiare dalla signorina e subito dopo mi inoltravo per l'isola nei vari luoghi nelle varie strade di cui essa è fatta. Il Lungomare di levante, le chiese che danno la loro facciata al sole bellissime e baroccheggianti, l'isola dei cani, piena di gatti a cui venivano gettati i resti di cibo dalle famiglie che vivevano nei vicoli. Poi lungo la ringhiera la zona popolata da bassi con tende di colori sgargianti che introducevano al famoso "Lungomare" dove per qualche mille lire potevi comprare l'amore. Ero incuriosito da quelle donne, della loro bellezza, e mi chiedevo come mai donne di cosi bella fattura avessero mai intrapreso quello strano mestiere..Ma mi tenevo distante anche se ti invitavano a entrare nelle loro alcove. Non ho ho mai, e dico mai, utilizzato i miei denari per comprare sesso. A passi veloci raggiungevo i torrioni. Vi leggevo dove erano posizionati i cannoni e le bombarde, poi percerrendo in tutta la sua estensione il camminamento scendevo e proseguivo lungo un percorso quasi campestre che introduceva il fronte del carcere che rinoscovevi dalla sua architettura e dalle finestre tappate con elementi e pannelli che oscuravano la vista. Non sono più tornato in quel lungomare. Era in effetti tra carcerati e puttane il posto meno interessante di Ortigia. Dopo avere percorso quasi tutte le strade verso il castello che sbarra la strada alla punta estrema ricordavo la casermetta della marina che era antistante al castello in quella piazza o slargo dove ero entrato per la mia prima visità in marina...Una visita strana perchè venni trasferito ad Augusta a Marinferm per una visita specialistica ad un occhio dove poi non venne riscontrato nulla di anomalo, insieme ad un altro ragazzo di Pachino. Questo ragazzo,con cui avevo diviso i giochi all'oratorio di San Corrado, superata senza problemi la visita è partito per la ferma di ruolo di ventiquattro mesi si fermò come volontario sottoufficiale della nostra Marina Militare. E da allora che non lo rivedo. Ma il luogo che meritava e dava belle sensazioni era la zona attorno alla Fonte Aretusa. La fossa con i suoi rigogliosi papiri e i suoi pesci erano sicuro ristoro alle tue bizzose ricerche. Dove un piccolo branco di cefali si muovevano nell'acqua armoniosi e flessuosi e pesci rossi sfreccianti ed in gara per catturare i pezzetti di pane che gli astanti gettavano nell'acqua. Mentre anche le papere, che gironzolavano come piccoli rimorchiatori, facevano a gara con entrambi per assicurarsi il boccone. Colombi e passeri a contorno facevano di questo antico luogo un piccolo paradiso, mentre l'acqua della fonte si versava fuente verso il mare, stupendamente azzurro. Poi scendevi per la stradella pedonale, in leggera discesa, che porta alla piazzetta ombrosa contornata da antichi ficus che per la vecchiaia come quelli di porta marina a Palermo si sono dotati di legnosi bastoni per sorreggere le loro stanche membra di giganti arborei. Quelle foglie quel verde bottiglia mi rimandavano agli alberi della piazza di Pachino. Era la nostalgia, anche nella breve distanza, intensa per quel senso di solitudine che ti dava un posto dove al tempo avevi solo gli amici che erano i compagni di scuola, contrapposto ai pomeriggi intensi di gioco che potevi fare a San Corrado o al campo sportivo di Pachino... Mi inoltravo per quel bel posto che è la riviera di Marina dove al tempo erano ormeggiate barche turistiche che si riconoscevano dalle bandiere nazionali messe a bella vista. Guardavo lo scafo ed ogni dettaglio di quelle bellissime barche e poi quando nel tardo pomeriggio si alzava un leggero vento di ponente sentivi le sartie emettere il tipico suono lattoso mentre il mare leggermente increspato era diventato d'argento. Poi, oltre, l'attracco delle grandi navi, passeggeri, mentre i cargo si vedevano da lontano ancorati nel molo di Zanagora proprio di fronte a Porta Marina e poi i grandi mercantili ancorati al molo di Sant Antonio. In quel tratto di molo, dove l'acqua è profondissima, mentre vicino ai singoli puntoni d'ormeggio, vecchietti si dilettavano e si dilettano, lo vedo dalla telecamere, con cimette e ami dove collocavano delle palline di mollica di pane mista a pesce azzurro con una mistura che era un piccolo segreto. Calavano e calano le loro cimette in quel mare azzurro con tracce evidenti di aloni di gasolio. Che come una quinta invisibile, ma visibile, stendevano un foglio trasparente su quel mare. L'effetto di una catarratta all'occhio umano... Poi il giovedì, di ogni settimana, arrivava la nave passeggeri bianca che svolgeva servizio di linea tra Siracusa e la Valletta della isola di Malta. Allora era una festa....Osservavo ogni particolare di quella grande nave che potevo vedere da vicino e quasi toccare.Abituato com'ero a vederle da lontano quando mi mettevo in postazione con il mio binocolo nella torretta di avvistamento che mi ero costruito a Bonpalazzo, dove studiavo, fra l'altro, un sistema eolico fatto con una ruota di bicicletta con apposito dinamo per vedere come potere dare un piccolo punto luce di segnalazione alla mia postazione da bambino che si era nominato capitano e uffiale di vedetta . Gli oblo, i ponti, le enormi ciminiere, che rilasciavano se pur ferma un leggero filo di fumo, la linea di galleggiamento ed ogni particolare utile per poterla poi disegnare.... Paffute nuvole boteriane incipriate di un rosa lieve e profumato passano all'orizzonte come colombe della pace.... continua.....

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