martedì 20 novembre 2007

sabato 14 luglio 2007

Pachino Promontorio: Pachino Promontorio

Pachino Promontorio: Pachino Promontorio

Pachino promontorio Aree urbane la piazza

Pachino Promontorio Blog La connessione dei vari blog

Pachino Promontorio lo sbarco alleato del 43 luglio 10

Rosario Spinello ha scritto:21-09-2005 21:32:50
A testa i musolino.


La strenua resistenza di quelli che la dichiararono alle masse,mosse, e folte, fra le altre frottole vi fu anche una frase detta da Benito:"Li inchioderemo sul bagno asciuga".In effetti si tratto dell'ennesima frase buttata al vento da l'Onorevole Benito Mussolini per convincere i suoi dell'imminente vittoria delle forze del triplice ed immarcescibile Asse (Germania,Italia e Giappone). Fatto stà che le forze di contenimento nel promontorio si basavano prioritariamente su una brigata tedesca che disponeva di varie postazioni e bunker, con commandi, al Corridore Campana a a Pagliarello: dove c'era posizionata la stazione radio.Altri alloggi di soldati italiani erano,con i comandi, nei casamenti di Maucini.
L'aereoporto di Pachino era gestito dalle forze italiane e tedesche e oltre agli aerei veri,pochi, c'erano posizionati in contrada Xirbata una discreta quantità di aerei fatti di legno, per fare massa e per indurre l'avversario inglese e i suoi ricognitori che partivano da Malta, che il Promontorio era una roccaforte imprendibile. Fatto stà che la mattina del 10 Luglio 1943 la Highlander canadese entro nel golfo di Costa dell'Ambra non considerando minimamente la posizione di Concerie e la tanto decantata "funnu i varchi" che con lo sbarco,reale, c'entra assai poco. Tutta al più: poteva essere un ottimo punto di osservazione. Perchè è documentato ampiamente che i sistemi di sbarco di allora,ma anche di ora: si basano prioritariamente sulle spiagge libere. Considerato che lo sbarco avvenne prendendo anche buona parte di Contrada Raneddi fino a Porto Ulisse sarebbe stato meglio posizionare le icone memoriali in contrada Chiappa e nello sperone roccioso,tufaceo, e che vede in sito anche una ingente,torre tecnica (site two) istallazione della NATO.
Ma tornando al titolo del commento molti non sanno,fra i giovani,ma anche fra quelli meno giovani, che in contrada Viruga vicino la forgia che rimane a 500 metri in linea d'aria da funni i varchi, nelle immediate adiacenze con il mare, c'era una vecchia casa.Il proprietario della stessa,forse un certo signor( non so come si chiama),un evidente nostalgico del triste passato: costrui nel tetto del fabbricato,a guerra finita, e forse negli anni 60: una grossa testa con elmo che riproduceva la testa di Mussolini.

Frequentata nei mesi della passa delle marzaiole, di cui, insieme a mio padre, sono stato emerito e velocissimo segugio,ma meglio Cernieco dell'Etna, la vedevo da lontano e mi chiedevo: ma chi sarà mai quel signore riprodotto in quella specie di lugubre monumento??? La risposta arrivo dalla ciurma dei cacciatori che avendo visto passare le "curriole" a mezzo chilometro di distanza dalla nostra postazione, e dunque rimasti a bocca asciutta per quella serata: cominciarono a scaricare,doppiette,sovrapposti,fucili automatici,Franchi e Breda, nel capoccione in gesso di quell'icona triste e sventurata che tanto sangue e pianto ha fatto versare a l'Italia tutta.....

Ambrati saluti,Spiros

mercoledì 11 luglio 2007

Pachino promontorio Approdo turistico a scala adegauata allo sviluppo del Pachino promontorio

Rosario Spinello



ha scritto:
10-09-2003 10:27:09
L'APPRODO TURISTICO A SCALA ADEGUATA ALLO

SVILUPPO DEL PACHINO PROMONTORIO.




Apprendiamo con grande soddisfazione che finalmente le potenzialità della Rada di Portopalo verranno sfruttate adeguatamente.L'inserimento del molo di ponente di Portopalo nel Piano Regionale dei Porti Turistici è fondamentale per il decollo definitivo del "Pachino Promontorio" a livello di infrastrutture in grado di essere competitivo a scala internazionale e cerniera dell'intero bacino mediterraneo. Qualsiasi altra ipotesi infrastrutturale di potenziamento è palesemente incongrua (vedi Rada di Marzamemi): sia per le dimensioni delle aree che per la palese saturazione degli spazi a disposizione: quasi interamente occupate da barche e barchette locali. La rada di Portopalo per le sue dimensioni e per gli spazi a disposizione sarà in grado di accogliere migliaia di barche di dimensioni notevoli. Cio' permetterà all'intero territorio di avere un respiro turistico a scala regionale e nazionale e internazionale. I complimenti all'amministrazione e al Sindaco che al di là delle logiche di partito e appartenenza si muove per lo sviluppo di Portopalo e per le opportunità di sviluppo e civiltà locale. Distinti Saluti. Dall'alto della antica casa dello "Scarrozzone" in Carubella. Cordiali Saluti agli amici di Portopalo di C.P. Spiros
P.S. Vedi sito( Rubrica informazioni in questo sito Pachinoglobale.com) di riferimento per la Rada di Portopalo di C.P. Scalo marinaro e turistico a scala mediterranea

Pachino promontorio Scalo Mandrie Portopalo

SCALO MANDRIE

l'etimologia. Scalo Mandrie.
Posto magico "scalo mandrie"

Sono stato ospite, per moltissime sere, alle serate estive di Portopalo. E proveniente dalla direzione ovest Maucini-Pachino e precisamente dalla Costa dell'Ambra: dopo avere percorso tutto il viale principale, (arredato con molto gusto e che ha creato una oasi di discreto livello ambientale e commerciale) Vittorio Emanuele(Viale dei due Mari): si arriva, dopo un significativa discesa, nella bellissima piazza di Scalo Mandrie. Che configura e ricorda chiaramente l'impostazione tipologica di un antico teatro greco. Finalmente conclusa, sui antichissimi resti di una antica Tonnara Greco-romana. Prima della realizzazione della piazza,comunque, sono stati effettuati saggi archeologici opportuni. A cura dell'archeologa Sig.Basile: al fine di individuare eventuali tessuti archeologici inesplorati. E per individuare presenze documentali o resti orografici: che con la realizzazione della piazza sarebbero stati per sempre (o per un lunghissimo periodo) cancellati. Scalo Mandre, secondo una ipotesi condivisa deriva dalla tradizione che questa piccola baia divisa, dallo sperone roccioso dove è posta una madonnina, da quella più grande: erano lo scalo dove venivano, sugli scieri o in barche idonee al trsporto, caricate le pecore. Le quali dopo un brevissimo tregitto marittimo venivano sbarcate nella "Balata" dell'isola di Capo Passero.Qui restavano per un periodo variabile a pascolare: usufruendo dell'ampia area trapezoidale dell'isola di proprieta della Famiglia Bruno di Belmonte. Con il suo castello spagnolo e i fabbricati della camperia e della annessa casa del guardiano. Lì vicino un pozzo basso e una vasca rettangolare in pietra arenaria, successivamente coibentata con il grigio verde cemento. La palma nana, da sempre preponderante in questo lembo di terra isolano che si ripete alla Carubella, lascia il posto in grevi radure alla crescita di erbe prelibate per il sopraffino fiuto-gusto delle pecore. Tessuto calcareo poco produttivo e prevalentemente destinato a pascolo. Qui si possono trovare, attaccate alle pietre e alle rocce, sedimentazioni millenarie di conchiglie o di trubi. Scalo Mandre conferma una cospicua presenza ed importanza archeologica riferibile, anche, al periodo bizantino. Il dialogare, con toni alterni e viva via sempre più cordiali, con Padre Palacino, nella sua oasi di San Corrado, che rappresenta una bellissima realtà ambientale per Portopalo: abbiamo brevemente approfondito, nel nostro dialogo, della presenza locale delle fondamenta della Chiesa delle Anime Sante. E dell'importantissimo impianto bizantino riferito alla necropoli sopra Scalo Mandria. Se la piazza conclude uno spazio di inimitabile bellezza: le aree archeologiche recitante sono lasciate nello stato di vero degrado. La giurisdizione della Soprintendenza di Siracusa, su queste aree, mette il comune nella condizione di non potere operare all'interno di queste zone. Ma credo che con una apposita richiesta e con personale istruito allo scopo: possano essere assegnate in manutenzione al comune di Portopalo. Per quanto riguarda l'insediamento di Camper mi sembra che qualsiasi giustificazione attinente all'utilizzo privato di questa area non ha più ragione di esistere. E che pochi non possono sostare e distogliere dall'uso pubblico utilizzo di una area di prevalente interesse archeologico. Dalla prima camera della Tonnara di Capo Passero a circa 20 metri di profondità in apnea. Cordiali Saluti Spiros
Cordiali Saluti Spiros

martedì 10 luglio 2007

Pachino promontorio cronologia storica

Rosario Spinello ha scritto:27-09-2003 21:32:59
E ancora prima era il paese ed il territorio del grano,della soda,dei caci(formaggio).

LA CRONOLOGIA STORICA DEL PACHINO PROMONTORIO

BREVE SINTESI PER UN CORRETTO INQUADRAMENTO STRICO GEOGRAFICO DEL PROMONTORIO...


La storia del Promontorio si perde nella storia del tempo remoto quando i primi abitatori erano i Giganti e le loro dimore erano attestate intorno al Burgio e Benuini. Poi nel periodo mesolitico e neolitico si hanno le stazioni di Corrugi e Calafarina(la grotta del fico non contiene nulla).I villaggi di Imacara e di Porto Ulisse di punta Castellazzo fanno da corona agli insediamenti di contrada Collo di Portopalo di Capo Passero e le antiche concerie del Murice per la porpora rappresentavano insieme alla coltura cattura del tonno le prime forme di economia locale del Promontorio.Torrefano ne rappresentava il faro per i naviganti che da Siracusa ed Eloro si recavano a Camarina e Malta. Era il tempo quando Siracusa ,potente città di origine greca, aveva esteso il suo dominio in tutta la sicilia sud orientale.Con le guerre puniche e l'intervento dei Romani si ha un lungo periodo di prosperità nell'area che oramai sicura alle incursioni dei Punici ne rappresentava il caposaldo della strategia di difesa del granaio di Roma. Sorgono, allora oltre agli insediamenti delle città anche le prime fattorie e ville per la produzione massiccia e lo sfruttamento del territorio,grano,caci ecc. I bizantini abili navigatori continuano la tradizione marittima ed un brevissimo intervento Longobardo contro i pirati ne attesta la presenza avanza con il porto omonimo dietro il collo e davanti allo scoglio maltese: Porto Longobardo.Con la decadenza dell'impero bizantino si assiste all'insediamento gentile e proficuo degli arabi che cominciano a strutturare il territorio in casali e a razionalizzare i sistemi di irrigazione e di razionale sfruttamento dell'agricoltura:Rutillini,Stafenna,Caddeddi, Bimmisca,Musolino,Calcicera,Benuini,Baroni,Burgio,s.Basilio,Maucini, strutturano insediamenti razionali per lo sfruttamento ulteriore della terra del Promontorio.Agli arabi seguono i Normani che strutturano e trasformano i casali in feudi. Poi il susseguirsi di dinastia spagnole,francesi,austriache e spagnole ne consolidano la struttura agraria sul modello dei feudi.
P.S.
I riferimenti bibliografici e i siti sono in totale rifacimento. In attesa si possono vedere i siti del Promontorio in questo sito(http://WWW.PACHINOGLOBALE.COM) alla rubrica arte e cultura.
Da Pachino per sempre. Cordiali Saluti Spiros.

Pachino promontorio Acque basse Porto Ulisse nella storia

Rosario Spinello ha scritto:18-12-2004 00:46:24
stagione che vieni stagione che vai


Poesia ,parola magica.
Come magica è l'aureola di divina provvidenza fra le basse acque della baia e la sagoma nera della casa dell'isola Brancati, che ne occupa lo spazio centrale, le luci del viale Starrabba si riflettono nella hamama.

Marzamemi, vive l'incanto di un posto solitario che è stato baciato dalla sua antica storia e oggi le testimonianze più importanti stanno prendendo corpo. E, attesi i finanziamenti del marzo 2004 da parte del cipe per 900.000 euro per il recupero ed il restauro delle strade del centro storico di Marzamemi ne determinerà un sicuro rinnovo urbano.

Strade nuove che sicuramente definiranno il centro storico di Marzamemi come “entità storica” che dal processo del suo restauro e riuso troverà sicuramente strade pieni di imprevisti per il suo futuro memoriale.

E' l'idea di rendere Marzamemi un luogo della memoria annuale: è importante!

Bisogna sapere creare una serie di "fatti culturali"( cartello della programmazione degli eventi) che ne determinino la appetibilità come richiamo turistico.

Marzamemi ed il comprensorio hanno bisogno di una sera politica di programmazione delle reti e che la questione della territorialità di alcune zone urbane deve essere assunta come posizione inderogabile e senza ulteriori rinvii da parte del Comune di Pachino.

La Programmazione del Comune di Pachino ne deve tenere ampiamente conto nelle sue previsioni di massima ed esecutive e nei suoi piani generali ed esecutivi urbanistici.

Questo dovrebbe fare riflettere verso una innovativa e significativa presa d'atto di investire in una nuova "territorialità" che và estesa,e promossa, anche agli altri mesi dell'anno.

La "poesia" andrebbe estesa ad un più ampio territorio. A partire anche dal “centro storico di Pachino”, per scorrere attraverso un ampio sguardo verso i bordi urbani, che partendo dall'Ospedale di Pachino, ne determinano, con varie case disseminate, una traccia suburbana che ha, nelle dolci colline che degradano,collocazione un numero consistente di fabbricati isolati che ne determinano una rete locale che ha assunto carattere e consistenza ambientale e di rete. Come di altre zone costiere che verrano elencate ad una ad una.

Mentre, apprezzabile, sembra, la velocità di esecuzione delle gare che avvantaggiano il Comune di Portopalo, sui tempi di esecuzione che ha definitivamente intrapreso che lo vede impegnato in una veloce discesa verso il traguardo di poter utilizzare, nel breve periodo, il castello di Carlo V e la utilizzazione della fascia costiera restaurata. Lavori, che conferiranno nuovi elementi culturali a Portopalo, come richiami turistici e che si candidano come fattori significativi e decisivi per la crescita e lo sviluppo del turismo culturale locale. E sulla base del “turismo culturale” ,occorre assumere iniziative con parametri compensativi e collaterali da parte delle associazioni locali( pro-loco,ecc.ecc.) capaci di esplicitare un programma di "iniziative mensili" che le potrà conferire una strategia di richiamo culturale e una palese verifica allo sviluppo locale. Si è chiamati a compiere un salto culturale, innovativo,semplice ma significativo. Occorre creare una Agenzia Promozionale che faccia "sistema di sapere" per intraprendere nuove iniziative sul territorio.

Nello stesso tempo,valorizzare, piano, piano, l’entroterra del promontorio, facendo rivivere le atmosfere vere di una realtà rurale ampiamente punteggiata da perle. Che ,dalle prime fattorie greche e romane passando per il proficuo periodo bizantino che poi si trasformano in casali arabi. E che successivamente sono diventati feudi e masserie e che ancora oggi “incastellano” il territorio in un insieme sistematico di presenze rurali che ne determinano la struttura geografica.
Pertanto, luoghi ameni e solitari come le lontane terre di Calcicera, vecchia , e nuova o come quelle di Bommiscuru,Bufalefi,Burgio,bonovini, ci arrivano dall’entroterra e ci giungono messaggi di nuovi e significati passaggi economici e culturali. Ecco perché è fondamentale che di queste terre lontane dai luoghi eletti e relegati nell’entroterra netino diventino significativi e nuovi elementi di propulsione di un sistema che ricerca le sue radici nella sua storia.

Qui dove le colline a balze aprono a vasti contorni di muro a secco che ne definiscono la chiusa ed il confine. Fra alberi di carubbo battuti dal vento di ponente e la folta fronda di foglie verdi come fondi di bottiglia riparano grasse l’interno della masseria e del muro a secco che ne cinge l’ingresso prima di arrivare al portone di legno e lamiera che chiudeva l’imboccatura del casamento. Fra prati alti ed uliveti e partite quadrate di vigneti ne corrono polverose le sue antiche strade che conducevano a “Respensa”.

Ai suoi luoghi sacri al frastornante bisogno di esprimere un segreto un racconto che ancora non trova sfogo per poterlo raccontare. E poi il mare mediterraneo, le sue schiumose onde fragranti che scivolano nelle spiagge.Le fluttuanti giornate di vento di ponente che possente e presente ne condiziona i comportamenti.Vento ululante,fischiante,che dalle fessure delle porte delle campagne ne determina un sinistro fischio.Fischio che si ripete! Come quando fischiava il portone della carratteria della casa di Pachino, con tutto quel vento che entrava dalla bocca del cortile. Vento nebuloso,pieno di sabbia rossa del deserto.Intrisa di granelli di rugiada,che ne intrappolavano largamente le festanti chiuse della Carubella.Dal Faro, fino a casa Pagliarello.


Cordiali Saluti Spiros.

Rosario Spinello ha scritto:18-12-2004 00:19:18
dal sito http://www.accadeinsicilia.it
Di Carlo Ruta.



Da Pachino a Camarina

Note tratte da De rebus siculis decades dua

di Tommaso Fazello



Voltosi alla vita religiosa fra i Padri Predicatori di Palermo, Tommaso Fazello (Sciacca nel 1498, Palermo 1570) si dedica sin da giovane agli studi storici sull'isola, sollecitato dall'amico romano Paolo Giovio. E a coronamento delle sue ricerche, nel 1558 dà alle stampe presso la tipografia Maida di Palermo l'unica sua opera, De rebus siculis decades dua, di cui uscirà nel 1574, a Venezia, la traduzione italiana a cura di Remigio Fiorentino. Fazello equivoca sui siti di alcune città antiche, e come richiede l'epoca, si associa al racconto biblico che computa in quattro millenni e mezzo l'età del mondo. Ma si reca nei luoghi di persona. Ed è l'aspetto itinerante a rendere la prima decade un classico. Non è un caso che al monaco saccense facciano riferimento gran parte dei viaggiatori nordeuropei che giungono in Sicilia nel secolo dei lumi. Fazello non trascura la plaga del sud-est, inaugurando anzi il moderno interesse per Camarina, dove si reca due volte, constatandovi prima una discreta quantità di resti, e poi la predazione dei medesimi, serviti per fortificare la città di Terranova. Viene qui presentato un brano della prima decade, nella versione di Remigio Fiorentino, ristampata a Palermo nel 1817, presso la tipografia di Giuseppe Assenzio.



Dal Libro I capitolo V

[…] Dopo Lungarina mezzo miglio in su la riviera si trova un gran seno detto saracinamente Marza, che in lingua latina vuol dir porto, e secondo Tolomeo è chiamato Odissia, e da Cicerone nel settimo delle Verrine, è chiamato Edissa, e vi possono star le navi, da cui è poco lontana un'altra salina del medesimo nome. Al promontorio occidentale di questo seno, che corre al mare verso mezzogiorno, si vedono le rovine d'una città, ch'era un miglio e mezzo di circuito, ed era posta in un sito non men bello, che giocondo, e con essa le vestigia d'una fortezza rovinata dal mare, e d'edificj, e Tempi fatti all'antica. Per le quali rovine, ancor che si possa venir in conjettura, ch'ella fusse una città famosa e bella, tuttavia io non ardisco affermare come ella si chiamasse appresso agli antichi, ancor ch'io possa immaginarmi ch'ella fusse Euboja, edificata da Leontini verso mezzogiorno secondo Strabone, o vero Callipoli, ed oggi dalla rovinata fortezza è detta Castellaccio. Dopo questa segue uno stagno chiamato Murra, il qual di state si converte tutto in sale, e poi segue un'altro stagno, detto Gorgo salato, il quale insieme con molt'altri vicini al Pachino, per esser d'acque piovane e dolci, né mai turbate dall'acque del mare, genera un sale pregiatissimo. A Gorgo salato son vicini tre scogli poco lontani l'uno dall'altro, ma dalla riviera discosto due miglia, detti l'isole de' Porri. Dopo Castellaccio, e Marza sei miglia presso al lido del mare, son due laghi abbondantissimi di pesci, l'un detto Busaitumo, e l'altro Busaitumello, i quali di subito sboccano in mare, e nascono da certi fonti, poco lontani dal castel Spaccafurno, chiamati Favara. Appresso a loro son le gran rovine d'una piccola città, chiamata oggi Ficallo, dove si vede un grandissimo Tempio, ma rovinato. Sopra le cui rovine è edificata una Chiesetta del medesimo nome, dedicata alla Vergine Maria, e si vedono le muraglie rovinate, e molti frammenti d'edificj. Appresso alla città è un colle, che spunta alquanto in mare, a guisa di promontorio, detto Cozzo da S. Maria di Ficallo, nella cima del quale si vedono le reliquie d'una rocca grandissima rovinata, ma alle radici di detto, le quali si congiungono al mare, son molte fonti d'acqua dolce, ch'escono de' vivi sassi, e anche nella città è una fonte grande, onde tutto questo paese chiamato Ficallo, per esser abbonante di fonti, di laghi, e di torrenti, dà occasione agli uomini di pigliarsi molti spassi, e diporti in pescare, cacciare, e uccellare, e non ha altro mancamento, se non che ella è sottoposta a quelle medesime immagini d'aria che l'isola di Correnti. Ma qual fusse anticamente questa città, io non l'ho ancor trovato in alcuno autore, ch'io abbia letto. Due miglia lontan da Ficallo si ritrova un luogo chiamato Pozzo vecchio, dove si vedono le rovine d'un castello, da cui lontano un mezzo miglio è una torre grandissima, fatta da Bernardo Incrapera, Conte già di Modica, la quale è chiamata Puzzallu, ed è levata dal mare, e vi si fa la fiera del grano, e di quì a Malta è poca via, cioè sessanta miglia. Dopo Puzzallu a due miglia si trova un piccolo ridotto da navi detto Mainucu, e poi un miglio discosto segue Rajancino, a cui altrotanto spazio di via succede Curciuvo, e poi vien Pissoto, e Samuel, e 'l ridotto chiamato San Pietro, dove si vedono le rovine d'uno edificio antico. Dopo un miglio e mezzo si trovano le spelonche, dette volgarmente Sbruffalore, le quali son chiamate così perché l'onde percotendovi dentro, e ritornando in dietro, fanno la spuma in mare quanto è lungo un tiro di mano, con grandissimo suono, per cagion dei scogli, che vi son vicini. E poco dopo si trova un'altro luogo, dove si fa la fiera del grano, chiamato i granari vecchi, da cui non è molto lontana la bocca del fiume Modicano secondo Tolomeo, oggi detto Sicli. Questo fiume nasce sopra il castel di Modica un tiro di fromba, e nel corso quattro miglia da lunge passa per Sicli castel moderno, ma bello, di cui egli piglia il nome, e dopo tre miglia sbocca in mare. Dalla cui bocca lontan un miglio si trova una fonte in su 'l lido, che si mescola spesso con l'acqua del mare, tanto è abbondante, e con nome saracino è detta Ailumata. Dopo due miglia segue la bocca del fiume Irminio, celebratissimo in questa riviera, secondo Plinio, ed oggi è detto Maulo, e bocca di Ragusa, il qual ha capo nella cima del monte Cerretano da una fonte chiamata Fico, ch'è nel mezzo del camino tra Palazzolo, e Vizini, e di subito cresce per l'acqua d'un'altra fonte detto Fanara, la quale nasce poco meno d'un miglio lunge da Fico verso Ponente. Le quali acque congiunte insieme fanno un fiume tanto grosso, che sostiene mulini da grano, e nel correr passa per il castello cerretano, da cui egli piglia il nome. E poco appresso si fa più grosso per l'acque d'altri fonti, e lasciando da man destra il castel di Ragusa, lasciato il primo, riceve il suo nome, e correndo senza perdere il nome, sbocca quì in mare. Segue dopo questo il ridotto, detto Mazarelli un miglio discosto, e dopo un miglio e mezzo si trovano certe rupi, e certe moli rosse, il qual luogo non sò s'è quello, che Tolomeo chiama l'ultimo Bruca, e dopo un miglio segue un altro piccolo ridotto chiamato Anigeffi, appresso al quale un miglio seguitano le rovine d'un'antica città e grande, le quali son percosse dal mare, e gli abitatori le chiamano Longobardo Mulinaccio, e Cumo. Queste rovine d'edificj, le quali parte son tutte per terra, parte coperte da spine, e da palma salvatica, per distendersi due miglia lontano, continuamente fino al luogo detto San Nicolò, e dove è oggi il mulino vecchio, chiamato il Mulinaccio, a cui dava l'acqua il fiume, che scende da' colli ragusani, fanno fede, che quella era una gran città. A questa città verso ponente quasi un mezzo miglio soprastà un campo, ch'è di giro un miglio, e circondato da' colli, ed ha l'acque del predetto fiume, le quali fanno molto atto alla cultura, e molto fecondo, e per fino a' dì nostri si vedono l'anticaglie de' giardini, e degli orti antichi. E questo luogo si chiama Bagni da tre bagni antichi, fabbricati quivi con bellissimo artificio, e maravigliosa architettura, due de' quali son mezzi rovinati, e l'altro è del tutto integro, e l'opera è maravigliosa e regia, e non punto minor d'una fabbrica romana. Da man destra di questo luogo, un tiro di mano discosto, sorge un monticello, nella cima del quale per esser piana era un teatro, come ne fanno fede le maravigliose anticaglie, e le gran rovine, che ancor oggi vi si vedono, ed in qualque parte ritengono la forma, e d'onde con bella veduta si vedono gli orti, i colli, il piano della città, e 'l mare; il qual luogo mi credo che fusse per ricreazione, e diporto del Re di quel paese, ove andasse a pigliarsi sollazzo. E per andar più là, queste ragioni non mi pajono sciocche, massimamente essendo fondate in autorità, per le quali io sono sforzato a credere, che quì fusse la città d'Inito, ch'era la città regia di Coccalo Re de' Sicani, perocché Aristotile nel sesto della politica, Erodoto nel sesto libro, Diodoro nel quinto, e Pausania, e Strabone nel sesto, la pongono nel lato di Sicilia volto a mezzogiorno, e vicina a Camerina, e non son discordi in altro, salvo ch'Erodoto, e Strabone, e Stefano la chiama Inito, e Pausania la dice Inico. E che questa città d'Inito fusse la regia del Re de' Siracusani ne fa fede Antioco nel libro XII. Il quale scrisse molto diffusamente di loro, siccome afferma Diodoro. Ma a che tempo ella cominciasse, e da chi ella fusse edificata io non lo so, ancor che sia verosimile ch'ella fusse edificata da' Sicani. Questa città, per la magnificenza de' bagni, ne' quali si crede, che fusse soffoccato Minos Re di Creta, e per l'esilio di Scito Re de' Zanclei, è molto memorabile e famosa. Il vino Inittino, il qual per testimonianza di Strabone nel sesto era perfettissimo, si desidera oggi grandemente dal mondo. Dopo Initto segue il ridotto Caucona, ch'era già porto secondo Tolomeo, e Procopio nel terzo libro della guerra de' Vandali, detto a' tempi passati Rasaracami, ed a' tempi nostri Scarami, e con lui la bocca del fiume del medesimo nome, benché molti lo chiamino da Santa Croce, il qual nasce dal fonte Favara quattro miglia lontan dalla riviera. Segue poi poco lontano una grotta tutta rosa, e consumata, aperta e aspra di sopra, e da' colombi che vi fanno il nido è detta la Colombara, nella quale percotendo l'onde del mare, facevano poco tempo fa un suono, simile a quello d'un tuono, che si sentiva ventimiglia discosto. Ma l'anno MDLII, essendo percossa dal mare straordinariamente, rovinò sopra se medesima. Vicina a questa un miglio fra terra si trova una Chiesa sopra un colle, posta sopra colonne, e fatta di pietre riguadrate, la quale è domandata da' paesani Steriopinto, ed appresso agli antichi era un Tempio molto famoso. Lontan due miglia dalla Colombara nella riviera segue la bocca del fiume Oano, secondo Pindaro nell'Olimpie alla quinta ode, ed oggi detto Frascolari, dove è anche un ridotto da navi del medesimo nome. Nasce ne' monti Ragusani da un fonte, il quale è chiamato dalla bocca ch'è sette miglia lontano passo largo, e passando pel luogo detto passo di Sicli, sbocca quì in mare.



Dal capitolo II

La città di Camarana è lontana quasi un mezzo miglio dalla bocca del fiume Oano, o vero Frascolari. Questa città è posta sopra un certo colle alquanto rilevato, il qual è nel mezzo di due fiumi, cioè Oano, e Ippari, ed un lago, il quale è non meno infame, che memorabile per lo naufragio dell'armata romana, e fu edificata da' Siracusani, quando eran grandi di ricchezza, e dell'Imperio, sotto la guida di Dascone, e di Menocolo, e fu l'anno CXXXV. dopo l'edificazione di Siracusa, e dalla creazione del mondo MMMDC. nell'Olimpiade XLV. secondo che afferma Tucidite nel sesto libro. Strabone nel sesto libro dice; Camerina fu colonia de' Siracusani, e tirò la sua etimologia dal greco nome camera, che significa fatica, e neo, che vuol dire abitare, cioè città dopo molte fatiche abitata, ancor che' siano molti, i quali dicono, ch'ella ricevè il nome dal lago, che l'è vicino, perché Duri Samio, secondo che narra Stefano, la chiamò camerino in genere neutro. Questa città, siccome ebbe subito principio, così ebbe subiti accidenti. Perché essendo insuperbiti i suoi abitatori, e diventati insolenti per la prosperità delle cose, si ribellarono a' Siracusani loro genitori, e signori. Ma essendo stati vinti da loro, la città fu rovinata da' fondamenti, ed eglino ebbero sempre poi la fortuna contraria come quelli, che non avevano saputo usar bene la lor felicità. Perocché Ippocrate Tiranno di Gela, il quale l'aveva ricevuta per ricatto di molti Siracusani, ch'egli aveva vinti, e fatti prigioni al fiume Eloro, a' prieghi de' Corintj, e di quei di Corfù, come racconta Erodoto nel settimo libro, ed avendovi condotta la colonia nell'LXXXII. Olimpiade, nella quale era restato vincitore Saumo, le rifece le mura, e la riempì d'abitatori, come anche conferma Tucidite, e l'interprete di Pindaro. Ma al tempo poi di Gelone successore d'Ippocrate, ribellandosi ella di nuovo da lui, fu di nuovo rovinata, e poco dipoi fu dal medesimo rifatta, e messivi nuovi abitatori, la ridusse nel primo grado. Ma avend'ella al tempo della prima guerra Cartaginese preso la parte d'Annibale, fu combattuta da' Romani, e vinta, e fu abitata da' Romani, secondo che narra Polibio. E non senza ragione la chiama Pindaro nelle sue Olimpie, allevatrice di popoli, perché tra tante mutazioni, fu sempre abbondante di popolo, e pareva sempre ch'ella ne partorisse di nuovo. Le sue mura son bagnate dal fiume Ippari secondo Pindaro, e Iporo secondo Tolomeo, e Jotari secondo Vibio Sequestre, ed oggi è detto Camarino. Questo fiume nasce dodici miglia lontano dalla sua bocca, da un fonte larghissimo, che già si chiamava Diana secondo Solino, sopra il quale fu edificato un castello, detto con voce saracina Jomiso, per questa cagione, accioché si tirassero le sue acque, nel mezzo della piazza, le quali son tanto copiose, che scendendo quanto è un tiro di mano, son bastanti a volger ruote da mulini, e fanno un fiume, che correndo dodici miglia, entra in Camerina. Intorno alle sue rive sono assai piante, e massimamente di cedri, d'aranci, e di pomi granati. Quello, che scrive Solino di questo fonte è cosa maravigliosa, cioè, che se una donna impudica annacquava il vino con quell'acqua, e ne beveva, non potendo star insieme in un corpo corrotto l'acqua con quel vino, subito scoppiava, e manifestava il peccato, e tutti coloro che avevano le mogli a sospetto, solevano provar la loro castità con quest'acqua. Il fiume Ippari, prima ch'egli sbocchi in mare quasi un mezzo miglio, passa per uno stagno, ch'è di giro due miglia, il quale stagno è fatto da' fonti vicini, che son più di venti, ed è sotto alla città, ed era chiamato anticamente Esperia, e poi (siccome dice Vibio Sequestre) fu detto lago di Camarina. Di questo lago, e del fiume Oano, e del fiume Ippari, ne parla Pindaro nelle sue Olimpie alla quinta ode, a questa foggia. O Pallade (dice egli) Dea particolar della città, il tuo Tempio è casto ed il fiume Oano ti consacra il vicino stagno, ed i sacri canali co' quali Ippari lava l'esercito, e forma, e mette insieme prestamente il gran bosco delle bellissime e saldissime abitazioni, e rimena dalle tenebre alla luce la città di Camarina. Ove il suo interprete dice. Ippari è un fiume di Sicilia, vicino a Camarina, il quale è tanto grosso e pieno, ch'egli sostien le navi, con le quali gli antichi solevan portare gli alberi d'estrema grandezza, tagliati ne' monti vicini, e le travi per fabbricar le case, e Tempj. Onde gli antichi dissero, ch'egli era navigabile, il che manifesta la larghezza della bocca, e 'l lago vicino. Ma benché questa palude arrecasse anticamente molti commodi alla città, nondimeno ella vi faceva spesso cattiva e corrotta aria. Laonde i Camarinei avendo domandato l'oracolo d'Apolline, se' dovevano seccarla; fu risposto loro dall'oracolo, che non dovessero muover Camarina. Ma essend'eglino spesso molestati da grandissime e mortalissime pesti, e vedendo di poter levar via quella cosa, che n'era cagione, riguardando solamente alla salute presente, e dispregiato l'oracolo, lo seccarono, e conseguirono la desiderata sanità. Ma non v'andò molto, ch'essi cascarono in un danno maggiore, perché trovando i nemici la strada facile, d'ond'era la palude, ch' l'assicurava, e difendeva da quella parte, entrarono dentro, e la saccheggiarono, e così venne a patire le pene del dispregio della Religione, ancor che superstiziosa, e falsa. Onde Virgilio nel III dell'Eneide disse:

Da lontan Camarina appar, la quale / Non volse Apollo mai, che fusse mossa.

E Sillio Italico nel XIV. libro, disse il medesimo. Di quì venne quell'antico proverbio greco, che diceva. Non muover Camarina, il quale è tanto vulgato, che lo sanno insino a' barbieri. Questo lago è ancor oggi in essere, e non è famoso se non per la pescagione, che vi si fa, perocché egli produce tinche, ed anguille bonissime, e la città di Camarina, ch'anticamente era nobilissima d'edificj, e di ricchezze, è oggi rovinata, e non v'è d'integro, e d'antico se non i fondamenti, ed il nome non ha patito altro danno se non la mutazione del i in a, e si dice oggi Camarana, e mostra le sue rovine per tutto, le quali durano quasi un miglio, e mezzo. Il suo lido era adornato al mio tempo da certe moli mal fatte e grandi, gettate, anche nel profondo del mare, ch'erano le maggiori di quante io n'abbia mai vedute, le quali facevano come dire un porto, e le trovai spogliate de' loro ornamenti al castel di Terranova, quando io andai a veder un'altra volta Camarina, l'anno MDLIV, che di quivi erano state portate là con tutte l'altre anticaglie. Al capo della rovinata città, è la Chiesa di Santa Maria, dove si fa la festa a mezzo il mese d'Agosto, con gran concorso di popolo. presso alla sua muraglia è una torre, la qual fu edificata da Bernardo Incrapera, già Conte di Modica, delle rovine della città. Fuor delle mura della terra verso settentrione è un cimiterio dove sono assaissime sepolture, ed è a guisa di una rocca, tutto di pietre tirate in quadro. Psaume figliuolo d'Acrone, che restò vincitore con la sua quadriga nella LXXXII. Olimpiade, fu da Camarina, a cui Pindaro per la vittoria avuta, dedicò la terza ode dell'Olimpie. Fu nobilitata questa città ancora da orfeo poeta, il qual descrisse in versi l'andata all'Inferno, come scrive Suida. Dopo la bocca del fiume Ippari, quasi un mezzo miglio, si trova un lago lontan dal mare un tratto di sasso, ma non cresce se non per le pioggie, le sui acque si congelano in pezzi di sale. Dieci miglia da lunge poi si trova il fiume Dirillo, e la sua foce, il quale è notissimo in questa riviera, e mi maraviglio, ch'ei non sia stato nominato mai da alcuno scrittore antico. Questo fiume ha d'intorno alle sue rive molte foltissime selve, le quali durano parecchi miglia, e sono abitazioni di bestie, e d'assassini, e v'hanno dentro per tutto sicurissima stanza. Egli nasce a Vizini, da due capi, l'uno de' quali gli è presso due miglia verso levante, chiamato Paradiso, il quale presso a Mogia, riceve l'acque d'un fonte detto oggi Favarotta, e correndo lascia il castel da mano destra, l'altro suo capo è appresso al castel verso ponente, il qual è fatto da tre fontane poco lontane da Vizini, l'una delle quali è detta Corvo, che gli è appresso un tiro di sasso, l'altra è domandata Sant'Angelo da una Chiesa del medesimo nome, e l'altra, che nasce sotto le mura del castello, è chiamata con nome Saracino Massar. Questi tre fonti congiunti insieme bagnano le radici della rupe, sopra la quale è posto il castello, e danno l'acqua a' mulini. Così il castel di Vizini viene ad esser posto nella rupe alquanto rilevata, tra due fiumi. Questi due fiumi si congiungono insieme sotto il castello in un luogo detto il Mulino del Barone, e quivi fanno un fiume solo, il qual subito riceve il nome di Vizini, e correndo per la valle, lascia da man destra il castel di Licodia, di nome Saracino, posto sopra del colle, e pur seguendo il suo corso, in un luogo ch'oggi è detto Rajuleto, riceve le acque del fiume di Monte rosso, detto così dal castel del medesimo nome, il qual lasciato da man sinistra, si congiunge col fiume di Mazaruni, e da lui riceve il nome. Onde lasciato da man sinistra il castel di Chiaramonte, posto ne' monti nevosi, bagna da man sinistra il picciolo castello di Viscari, e passando per mezzo il rovinato castel di Dirilli, di cui s'usurpa il nome, vien quivi vicino a sboccare in mare. Non lunge da questa sua bocca si trova lo stagno Cocanico, il quale al tempo della state non si congela tutto in sale, ma solamente d'intorno alle rive, di cui Plinio nel XXXI. libro, al capitolo VII. parla a questa foggia. Il lago di Sicilia detto Cocanico, ed un altro posto presso a Gela non si congelano in sale se non d'intorno alle rive. Poco lontan di quì si trova la bocca del fiume detto Manumuzza, il qual nasce nel paese di Caltagirone. E poco più lunge di quì si trova la bocca del fiume di Terranova, chiamato così dal castello del medesimo nome, il capo del quale sorge poco lontan dal castel di Platio.





Prima pagina ---------------------- L'immagine storica del sud-est

Pachino Promontorio Turismo Rurale e agriturismo locale 2004




Rosario Spinello
ha scritto:
03-12-2004 01:53:20
Turismo Rurale e agriturismo locale. Una mappa per il nostro territorio. Se andate nel modulino che il webmaster di questo sito, Mrs.Corrado Modica mi ha dedicato, senza nessuna mia specifica richiesta, e di cui lo ringrazio per l'attestazione di stima che questo sottende e implementa,o nella rubrica arte e cultura, o ancora nella rubrica del turismo locale: troverete un link che riguarda un sito da me realizzato che ha in oggetto l'elenco delle maggiori masserie della zona del Promontorio.Questo sito oltre a censire questi manufatti architettonici che versano ,molti, in stato di abbandono e degrado ambientale e strutturale, intende indicare una via che è poco sfruttata. Ma che se fosse adeguadamente sfruttata e finaziata potrebbe dare una svolta non indifferente per la creazione a scala locale di una rete di strutture agrituristiche puntuali che potrebbero diventare e modellare un innovativo sistema economico. L'atavica cultura contadina e agricola tuttavia gioca contro a questo passaggio epocale. Perche per tradizione i pachinesi venivano chiamati: "strazza linzola". Mi spiego meglio. Mentre nel vicino e limitrofo compresorio ibleo del ragusano la modellazione dell'agricoltura ha fatto sì che intere famiglie si insediassero e vivessero stabilmente nel territorio agrario, nell'agro pachinese la cultura e la derivazione di strutturale della proprietà agricola, nel passaggio finale della frantumazione e parcellizzazione dei latifondi e dei feudi,che avviene negli anni 60, non ha creato le stesse condizioni abitative e di insediamento.Tuttavia rimane nel contesto agrario locale e del promontorio una notevole quantità di fabbricati che potrebbero essere utilizzate a questo scopo.Pertanto diventa essenziale che un salto culturale, "a pieri ncucci", venga fatto dalle nuove generazioni e da parte dei giovani agricoltori e produttori locali.Anche se mi rendo conto, ogni giorno che passa, della arretratezza in cui è rimasta ancorata anche la cosidetta avanguardia culturale. Sono segnali flebili, ma non tanto, ma indicativi dell'arretratezza culturale e dei ragionamenti che sempre più spesso mi arrivano. E che francamente mi fanno arrosire per la struttura povera e meschina dei ragionamenti e riflessioni della mentalità media locale.Fortunatamente ho una verità che mi stimola di non evidenti ma incisive "avanguardie locali" con le quali comunico, oramai, per telepatia. E francamente mi basta!! Telepatici Saluti Mrs... Spiros

domenica 4 febbraio 2007

Pachino promontorio feudi


feudi in terra del Pachino promontorio
Il percorso dei feudi e dei casali arabi.
Significativo ed importante è lo studio sistematico dei vari insediamenti antichi che hanno da sempre popolato la nostra terra con vestigia storiche di prima importanza che costituiscono l'ossatura fondamentale per capire ed apprezzare nella sua storia più intima la suddivisione della terra del promontoriodi Pachino come tessuto di feudi e di casali che trovano corrispondenza perfetta nella attuale distribuzione dei feudi nel contesto territoriale. In altro luogo si è cercato di elencare i vari feudi e fotografatr una parte della facciata ,o della conoscenza di maggiori elementi che oggi possono essere sostemuti anche da google earth nella precipua individuazione puntuale dei singoli beni culturali che non necessariamente devono essere pubblici. Anche il privato manifesta la sua volontù a volere preservare quesl singolo bene culturale che è in tutti i contesti agrari di cui possiamo dare significativa dimostrazione di una tessuto di fabbricati che assolvono al compito primario della organizzazione della produzione.
Rimando al sito specifico dove tratto l'elencazione di tutti i feudi che potette trovare a questa pagina. http://xoomer.alice.it/spinello/STORIA/
PROGETTO PER LA REALIZZAZIONE DI UN PROGRAMMA EDILIZIO PER IL RECUPERO DEI CASAMENTI DI ORIGINE FEUDALE.

Il progetto prevede, lo studio, la catalogazione ,la progettazione e il recupero di parti significative, a livello architettonico, dei Casamenti.
Analisi
1) Le caratteristiche comuni dei fabbricati ed il rilievo della tipologia insediativa dei feudi.
2) Le caratteristiche tipologiche dei singoli fabbricati e la morfologia
3) la storia dei singoli insediamenti
4) Struttura della Proprietà fondativa
5) Inquadramento storico e progettazione recupero.
5) Attivazione di attività studiate sulla ristorazione
6) Attivazione di attività Agrituristiche
7) Attività di promozione Turistica e agrituristica.

Il Progetto, intende costituire a livello formale la base per l’avvio di una Azione di Sviluppo Locale.
Oggetto: I FEUDI

Studio,catalogazione, progettazione del recupero delle parti principali dei casamenti,casa Padronale e chiesa.
Il progetto prevede due livelli di sistema a rete in grado di connettersi, con i territori limitrofi.
Il primo sistema è costituito dai beni culturali ed ambientali che costituiscono le sedi architettoniche degli antichi Feudi.
Il secondo sistema e costituito da fabbricati di derivazione feudale. Con la formalizzazione di nuove tipologie, direttamente derivate da quelle dei Feudi. Ma con una progettazione piu’ formale.Masseria
Il progetto prevede, lo studio approfondito delle parti fondative dei feudi. Dal punto di vista della costruzione formale architettonica.
Dal punto di vista tipologico e morfologico.
-----------------------------------------------------------------------------------------------vedi sotto descrizione di Emilio Pecora
Sul fronte ionico zona del Pachinese.
Il Pecora esegue una bellissima descrizione del paesaggio agrario della zona di Pachino. Leggendolo attentamente nella parte che riguarda la descrizione dei casamenti rurali che individua con il nome villa , l’autore non approfondisce piu’ di tanto sulla fondazione dei primi nuclei generatori dei fabbricati che sono la casa padronale e la chiesa.
Poiche all’origine della fondazione del feudo la funzione in esso esercitata era massima. Non vi erano centri urbani vicini. Di conseguenza la vita all’interno del feudo e dei suoi casamenti doveva svolgersi in un modo molto formale. E dove parti dei fabbricati erano destianti alla residenza del nucleo che portava avanti l’economiaa formale del feudo.













Analisi della situazione negli anni 60-70
studi di Emilio Pecora sugli Iblei.
la zona di pachino illustrata egregiamenta da un geografo.
la realtà di quel periodo storico va oggi rinterpretata per capire se è possibile uno sviluppo diverso ed un nuovo rapporto fra Citta’ e Campagna.
La fronte Marittima ionica
Olski editore Firenze
LA ZONA VITICOLA DI PACHINO.

DI EMILIO PECORA

“- Tra le foci della Cava D’Ispica ad Ovest e del Tellaro a nord-est la regione iblea si protende a formare una tozza penisola quadrangolare, distinta da tratti veramente peculiari. In questa penisola,o agro pachinese, domina in modo pressochè incontrastato la vite, che riveste i caratteri di una vera monocultura. Il manto compatto delle viti si sfrangia, lasciando sempre piu’ spazio ai seminativi arborati con olivo o mandorlo, soltando dove l’agro si addossa ai bassi tavolati di Modica e di Noto, cioè lungo i suoi margini , mentre all’interno si apre talora su ampie radure di seminativi nudi e di incolti produttivi o sterili, in corrispondenza dgli affioramenti del substrato calacareo : tracce residuali, queste ultime, di una agricoltura di tipo estensivo, basata su grandi aziende allevatrici, caratteristica della regione ancora all’inizio del secolo scorso.
Il manto omogeneo delle viti ad alberello, si innalza a ravvivare il paesaggio un gran numero di case rurali, che danno subito l’impressione di un popolamento sparso particolarmente intenso , quale è difficile vedere in altre plaghe della Sicilia. Ma la realtà del paesaggio umano è tutt’affatto diversa: le case isolate vengono abitate per la maggior parte soltanto temporaneamente, durante il periodo dei lavori piu’ intensi delle vigne e nei campi. La densità della popolazione sparsa si deprime infatti al di sotto di 5 ab, peer kmq, e talora si annulla del tutto. Gli abitanti vivono anche nell’agro pachinese prevalentemente accentrati, nonostante la popolazione attiva mostri un grado di ruralità marcatamente elevato, pari al 60,5%. Eppure il processo di disgregazione dei feudi in questa cuspide meridionale della regione iblea si è spinto ad un punto rimarchevole: a Pachino le proprietà inferiori a 5 ha interessano il 54% del territorio comunale.Ma tale processo non è stato accompagnato dal trapianto delle famiglie agricole dai centri abitati ai fondi coltivati: la dissociazione tra campagna e sedi rurali si è al contrario rafforzata, per l’inerzia dovuta alla secolare cosuetudine a vivere in modo associato nei centri, la dispersione delle aziende in stacchi o campi molto lontani tra loro, e infine l’adozione da parte della grande proprietà ancora esistente di sistemi di conduzione- l’affitto diretto o per mezzo di intermediari (gabellotti) ai contadini (terraggeri mitateri) soltanto per un anno e con contratto per lo piu’ verbale- che non facilitano ovviamente l’insediamento sparso.
Alla omogeneità del paesaggio agrario si oppone pertanto una estrema varietà delle dimore rurali. Il piu’ antico tipo di insediamento, che dovunque affiora nelle campagne- nell’agro pachinese come in tutta la regione iblea- è la grossa masseria, già centro e simbolo della grande proprietà terriera e della grande azienda cerealicolo-allevatrice ad essa corrisponde nei centri abitati, in particolare a Pachino che domina tutto l’agro, la piccola casa contadina, di struttura particolarmente semplice. La masseria, molto complessa e compatta, si impone solenne nell’aperta campagna, spesso dalla’alto di una seppur lieve prominenza del terreno. Essa dà subito l’impressione di un centro organizzativo di vita rurale, autonomo e indipendente, riecheggiando ,almeno negli elementi strutturali di base, le movenze della grande cassina lomgarda e piamontese. Da tempo invece la masseria non costituisce più un centro di attività agricole ben definite: la divisione dei feudi(feu) di cui la masseria rappresenta il simbolo concreto , materiale, ha determinato, con la fine delle sue antiche funzioni agro-pastorali, la morte della masseria come nucleo vivo e attivo di popolazione agricola, l’ha trasormata in un anacronismo visibile, in un complesso rustico senza alcuna apprezzabile funzione. La masseria è diventata nell’agro pachinese, per lo più, uuna dimora temporanea nonostante la sua complessità, sia stata lottizzata o sia al contrario riuscita a mantenere una sua unità aziendale: i capaci edifici del rustico come vani d’abitazione sono usati solltanto durante i lavori di campagna e il periodo della raccolta.
In genere essa non costituisce più, pertanto, il centro ne di una unità fondiaria, ne di una unità aziendale; e quanto risulta ancora abitata in modo permanente il suo corpo compatto appare in realtà come rotto in più parti, destinate a piccoli proprietari o ad un numero più o meno grande di affittuari. Elemento fondamentale e distintivo della masseria è il cortile, che appare delimitato sui suoi quattro lati da costruzioni dalle funzioni originariamente ben definite, ad un solo piano. Soltanto su un lato la fabbrica mostra un secondo piano, oltre al terraneo, al quale si accede grazie ad una scala esterna di pietra: è la casa padronale, riservata al proprietario che abita durante ol periodo del raccolto, detta vills o casa di campagna. Accanto ad essa o sul lato direttamente opposto, una soal porta alta ed un arco legemente svasato- sostituito a volte da un androne, che sopporta una parte della casa padronale imemette nel cortile. Questo è piccolo , assolutamente incomparabile con la corte della cassina lombarda: esso non è mai stato il centro di nessuna operazione agricola. Qui venivano portati soltanto i prodotti dai campi , già pronti per essere immagazzinati (grano fieno) o elaborati (olive), non diversamente da quanto avviene ora: per mezzo di asini, che ene curavano il trasporto a soma dai campi.
A differenza della cassina lombarda la masseria era dunque un insediamento di tipo decisamente padronale, che teneva lontano , vincolati nei grossi centri abitati come riserve coloniali, i lavoratori agricoli.
Un lato della masseria di norma quello corto, è dunque occupato in genere dalla villa padronale al primo piano e dai magazzini dello stesso proprietario al pianoterra. La villa rimane cosi inquadrata tra due lati lunghi, dove si dispongono da una parte un trappeto (per le olive), una carraia per i depositi per la paglia,e dal’altra una stalla assai capacce e due locali per la preparazione della ricotta e del formaggio: la stalla , ovviamente, venuto meno l’allevamento del bestiame, è stata trasformata nel coso degli ultimi sessant’anni in cantina e palmento ( locale per la pigiatura delle uve). I vari affittuari usano a turno il palmento, in base all’estensione del fondo coltivato, e godono di un piccolo settore della cantina. La maggior parte di questa resta tuttavia a disposizione del proprietrario, che incamera dai compartecipanti e affittuari una notevole parte del prodotto(da un terzo a due terzi) : Su quarto lato , infine -quello che si oppone alla villa- si innalzano altri magazzini, originariamente adibiti anche ad abitazione, o corre più semplicemente un muretto di cinta. Il pozzo o la cisterna e l’abbeveratoio, oramai in disuso, si trovano presso la stalla o anche quasi al centro del cortile.
Il materiale di costruzione predominante è costituito da blocchi di calcare. Le pareti sono intonacate verso l’esterno, ma presentano sul cortile la pietra viva: ciò dà un senso di solidità e nel contempo di austerità al complesso rurale. I tetti sono di norma a due pioventi, di tegole curve ,appogiati., tranne che nella villa, su una intelaiatura di legno e di canne. Nell’interno spesso le intere pareti prospettanti sul cortile sono coronate verso il culmine da una lunga fila di coppi ricuvi (ciaraamiri) . posti con l’incavo verso l’alto, i quali servono prevalentemente come collettori dell’acqua piovana dai ciaramiri l’acqua passa in un canale addossato al muro per defluire in piccoli condotti posti sotto il cortile e convergenti verso la cisterna.
In campagna , alle masserie si giustappongono, imbracandovisi fortemente, le dimor rurali più elementari, di origine assai recente. Esse rappresentano una notevole varietà di forme, in dipendenza della loro funzione ed in rapporto alla genesi del loro sviluppo, ma ciò nonostante si mantengono entro i limiti di una sicura e chiara semplicità.
Il tipo di casa rurale prevalente mostra una pianta rettangolare, entro cui trovano posto due vani: l’abitazione ripsostiglio e della stalla fienile (pagghialora) La copertura è formata da un unico tetto a due pioventi , costituito da tegole curve coppi, che poggiano su una intelaiatura di legno e di canne legate insieme in modo molto compatto, detta cannizzata. I due vani, presssochè eguali- ciascuno con una porta d’ingresso ad arco basso, sul lato lungo, e qualche piccola finestra- non si presentano molto ben distinti sul piano delle funzioni.
IIn effetti , si tratta di abitazioni a carattere prevalentemente temporaneo, quasi del tutto prive di oggetti di arredamento anche elementari: la presenza di un piccolo tavolo, di qualche sedia e sgabello ed eccezionalmente del focolare (fornelli) permette di distinguere l’abitazione ripostiglio dalla stalla fienile, che dispone a volte della greppia per il mulo o l’asino.
Questo tipo elementare di casa bicellulare a pianta rettangolare spesso si complica per duplicazione: cioè per la giustapposizione di un altro ambiente di forma pure rettangolare, con il tetto indipendente: il quale può avre due pioventi- e in caso ripete esattamente la struttura dell’elemento originario della dimora - o un solo piovente: e allora il nuovo ambiente aggiunto risulta meno sviluppato in altezza, e la sua copertura si addossa a piano inclinato, a mò di tettoia, al primo. Si forma in questo modo la pinnata, o stalla aperta che si titrova con qualche variante in tutta la regione iblea e in molte altre contrade della Sicilia. Si tratta evidentemente di una varietà recenzione, da mettere in rapporto all’ammodernamento e alla conseguente intensificazione delle colture, a dispetto del fatto che tali dimore continuano a fungere soltanto come sedi temporaneee per gli agricoltori che vivono nei centri.: in effetti la duplicazione significa spesso la comproprietà della dimora da parte di due famiglie contadine.
Tale reciprocità risulta ancora evidente quando si pone mente al fatto che la casa ad elementi giustapposti sotto uno stesso tetto si presenta come una vera piccola unità edile stilisticamente ben compiuta, la quale riecheggia assai da vicino la struttura del palmento, una piccola costruzione pr la lavorazione delle uve, che compare frequentemente, isolata, in mezzo agli ex feudi. Di questi palmenti , in genere, si servono quasi tutti i piccoli proprietari e afituari: le sase isolate del pachinese , prevalentemente viticolo, sono invero per lo più prive dell’attrezzatura atta alla vinificazione. La deficenza di capiatale non ha permesso l’adeguamneto della casa rurale, che ha sempre assolto soltanto alla funzione di casa-ricovero temporanea, per quantogrande. alle nuove funzioni agricole dell’agro. Nella cas di campagna, il piccolo palmento figura molto rararamente. A questi tipi di dimora elementare si ricollegano strutturalmente anche le più piccole case-ricovro in muratura, a due vani variamente giustapposti, che ravvivano il paesaggio agrario: le più semplici hanno il tetto di canne e di paglia , e rappresentano l’anello di passaggio verso i ricoveri costruiti esclusivamente con materiali vegtali. Detti pagghiari. Sia le case ricovero che i pagghiari sono presenti soltanto come forme residuali.
Un’altra variante della casa elementare ad elementi giustapposti ad un solo piano, è quella delle aree interessate dal pascolo e dal seminativo asciutto.
Qui l’allevamento dei bovini e sopratutto delle pecore è ancora prevalente e caratteristico. La casa si presenta pertanto più capace, e risulta formata dalla successione di tere vani principali, posti in questo ordine, abitazione fienile stalla. Piccoli locali per il forno e la lavorazione del latte si trovano ora addossati alla casa, ora anche da essa discisti: sul lato opposto di un piccolo cortile in terra battuta si sisegnano gli stazzi (mandre) per le pecore, grosse casse quadrangolari limitate da muretti a secco.
Tipi di abitazione assai recenti si ritrovano nelle aree interessate dalla riforma fondiaria postbellica- casette ad elementi giustapposti secondo schemi che si riportano anche in altre plaghe, non soltanto siciliane- e in una stretta fascia che da Punta delle formiche si spinge a Portopalo: in un’area che da pascolativa e sterile nel corso degli ultimi dieci,quindici anni si è trasformata in una plaga di prospere attività orticole, alle quali si disposa pure un razionale allevamento di bestiame bovino , da latte e da carne. In quest’ultima area la casa, costruita con blocchi di petra siracusana , o calcare bianco, è più complessa: essa mostra le forme di una piccola corte , ed è abitata in permanenza dal proprietario- in parte son contadini qui trapiantatasi dal territorio di Scicli -e da alcune famiglie di salariati. Il suo aspetto è tuttavia assai semplice, la superficie edile occupa relativamente modesta gli edifici piuttosto dimessi: il fondo coltivato non è grande , anche se colture , di pregio, ne fanno un’unità aziendale particolarmente prospera.
Nonostante la ricchezza di dimore che costellano l’agro pachinese , la maggiore parte dei lavoratori agricoli- piccoli conduttori diretti affittuari e giornalieri- vive nel centro di Pachino. Le condizioni delle loro case sono veramente pietose, e soltanto l’esame di una pianta della cittadina - che come quella di molti altri abitati siciliani fondati appositamente tra il cinquecento e i primi del settecento per la colonizzazione e il ripopolamento degli agri spopolati. si presenta con caratteri di una regolarità geometrica sorprendente- puo’ ingenerare l’errata impressione di una comunità socialmente evoluta, di una architettura urbana ricca o almeno decorosa. Le case sono riunite in blocchi quadrati, detti isole che la rete delle strade chiaramente enuclea. Esse sono saldamente legate tra di loro, per quanto presentino tetti indipendenti a capanna o ad un solo piovente, e mostrano an’unica soluzione di continuità nel caseggiato in corrispondenza di una apertura, larga due o tre metri, la carraia che dà accesso ad un piccolo cortile, il quale talvolta è ridotto a uno striminzito budello. Soltanto una parte del case prospetta, anche, sul cortile.
Le case che formano un’isola sono spesso di un solo vano: questo vano, con i lati di appena 4-5 m serve per tutti i bisogni della famiglia contadina.
Ma le più diffuse sono quelle a due vani: cucina e camera da letto, o abitazione e carretteria, che si dispongono di fianco , oppure si susseguono in profondità.
La carretteria, cioè il vano per il carro l’asino e il fieno, presenta una larga porta che poggia su un imbasamento di calcare , entro il quale sono evidenti e ben segnati i solchi incavati dalle ruote del carro. Più recente, ma meno frequente, si osserva anche la varietà a due vani sovrapposti, con scala interna di pietra, addossata ad una parete laterale. Evidente appare il carattere originariamente urbano di questo tipo, piu’ diffuso intorno alla piazza centarale dell’abitato; e del pari, motivi tipicamente urbani ripetono alcuni elementi ornamentali, spesso presenti anche nelle dimore più povere, come piccoli balconi appena accennati a pianoterra , o una trabeazione piuttosto ricca alle porte di ingresso.”

Pachino Promontorio San paolo Caravaggio


Pachino promontorio Villa Bimmisca


lunedì 15 gennaio 2007

mercoledì 10 gennaio 2007

lunedì 8 gennaio 2007

Memorie su Ortigia

MEMORIA SU ORTIGIA E SIRACUSA Ronco profumato di gelsomino Settembre 1970 Vagare per conoscere Ortigia è stato come un sogno che ho vissuto quando ero ragazzo. Iscritto al primo anno della scuola d'arte di Siracusa, in Via Mirabella. Strada stretta come del resto, a parte alcuni slarghi, la maglia urbana della città greca: la piazza semiovale della cattedrale, il quadrato barocco di piazza Archimede, con la sua fontana, e poi l'ampio corso che dava e dà luce a quei meandri e vicoli e ronchi di cui si compone la parte antica di Ortigia. Il corso Matteotti che scendeva verso la terraferma e piazza Pancali, zona del mercato, e i suo unico ponte raccordava la parte umbertina dell'isola con il resto della città. Il vicolo o via dov'era posto l'istituto è quasi a metà percorso del corso Matteotti. E in un attimo dalla strada colma di negozi alla moda passavi alla dimensione profumata di un paesello siciliano con i suoi odori, le sue voci, le sue caratteristiche parlate tipicamente siracusana che si miscelavano ai dialetti dei paesi vicinori. Vecchie signore affacciate alle porte delle loro anguste case guardano gruppi di ragazzi che percorrevano rumorosi l'antica rua. E incrociando il loro altero sguardo e la loro fredda espressione vedevi nel loro volto greco e nelle loro rughe la descrizione di un mondo a se stante. Una atavica e profonda dimensione di antico promanava da quelle viuzze piene di cartacce che odoravano di pesce che le folate di vento incanalavano dal lungo mare di levante. Folate di vento che trovavano sfogo in quei budelli fatti di case dalle cui finestre guardavi alle finestre di fronte e che visivamente era come convivere in una casa collettiva. Dove non potevi avere un minimo di privata pace. E per ottenerne un poco, di fatto, spesso, queste finestre risultavano chiuse, sbarrate. Era settembre i primi giorni di scuola in una classe d'artisti in nuce. Dove belle ragazze speranzose di intraprendere ed esprimere, in quella muffosa scuola senza luce, tutta la loro ricchezza espressiva volteggiavano come farfalle multicolori. E nella speranza giovanile di essere espressioni d'arte curavano il loro corpo e il loro aspetto come novelle cantanti. Una di queste, proveniente da Avola, per abbandonare la grecità, mi spiegò, lungo il viaggio in corriera, si stirava i capelli lungi e castani con il ferro da stiro. Stereotipi tipici di una leggiadra avvenenza primordiale di derivazione greca venivano, così, con mio riflessivo contegno interrogativo, violentate dalle nuove mode che volevano le ragazze, rigidamente, con i capelli lisci. Il ripudio del ricciolo si avvertiva anche tra i maschi e uno dei maggiori problemi della nostra giovinezza, ma non solo, è stata la probabile scelta di come portare la scrimatura. I tentativi devo dire sono stati tanti e per seguire le mode del momento topico c'è stato un attimo che con due miei compagni di scuola media, in un pomeriggio di gioiosa creatività, siamo diventati biondi come i Rochet. Quello della scrimatura, dobbiamo ammetterlo, è una delle prerogative di libertà espressiva che rimane immutata nel corso dei secoli. Dopo i primi iniziali viaggi in corriera ed essendo abbastanza disagevole fare andata e ritorno mia madre, per mezzo di una signora che abiatava vicino a casa mia, il cui figlio lavorava acome infermiere all'ospedale di Siracusa: mi trovo di dividere una stanza con lui. Praticamente non lo vedevo mai anche se dormivamo nella stessa stanza. Perchè lui arrivava tardi quando io dormivo e se ne andava prestissimo al mattino. Nel corso della mia permanenza in quella casa, che nel complesso è durato quattro settimane, l'ho incontrato solo una volta iniziale: per un brevissimo saluto di accoglienza. La signorina che affittava la stanza era una tipa alquanto strana. Il suo unico parente e amico era un cane di grossa taglia a cui voleva un bene per certi versi sospetto. Le stranezze della vita si manifestavano in quel ronco che tuttavia profumava di intenso odore di gelsomino. Poichè nella terrazza della casa, con i tetti spioventi, che si trova a pochissimi passo dalla fonte Aretusa, vi era piantata una pianta di gelsolomino. I cui filamentosi rami facevano ombra alla veranda sovrastata da strutture in ferro battuto che inanellavano fili in acciaio zingato che realizzavano una trama che serviva da supporto sia al gelsomino che ai tralci marroni con le foglie verdi con venature paglierine, carichi ancora d'uva bionda, ad un pergolato...Mentre il gelsomino proveniva da una grossa anfora, il piede del tronco scuro del pergolato proveniva da un giardinetto interno, di pochi metri quadrati, dove al centro vi era anche la bocca di una cisterna d'acqua con tanto di carrucola e secchio. Dpo la scuola che era fatta di prove e di disegni andavo a mangiare dalla signorina e subito dopo mi inoltravo per l'isola nei vari luoghi nelle varie strade di cui essa è fatta. Il Lungomare di levante, le chiese che danno la loro facciata al sole bellissime e baroccheggianti, l'isola dei cani, piena di gatti a cui venivano gettati i resti di cibo dalle famiglie che vivevano nei vicoli. Poi lungo la ringhiera la zona popolata da bassi con tende di colori sgargianti che introducevano al famoso "Lungomare" dove per qualche mille lire potevi comprare l'amore. Ero incuriosito da quelle donne, della loro bellezza, e mi chiedevo come mai donne di cosi bella fattura avessero mai intrapreso quello strano mestiere..Ma mi tenevo distante anche se ti invitavano a entrare nelle loro alcove. Non ho ho mai, e dico mai, utilizzato i miei denari per comprare sesso. A passi veloci raggiungevo i torrioni. Vi leggevo dove erano posizionati i cannoni e le bombarde, poi percerrendo in tutta la sua estensione il camminamento scendevo e proseguivo lungo un percorso quasi campestre che introduceva il fronte del carcere che rinoscovevi dalla sua architettura e dalle finestre tappate con elementi e pannelli che oscuravano la vista. Non sono più tornato in quel lungomare. Era in effetti tra carcerati e puttane il posto meno interessante di Ortigia. Dopo avere percorso quasi tutte le strade verso il castello che sbarra la strada alla punta estrema ricordavo la casermetta della marina che era antistante al castello in quella piazza o slargo dove ero entrato per la mia prima visità in marina...Una visita strana perchè venni trasferito ad Augusta a Marinferm per una visita specialistica ad un occhio dove poi non venne riscontrato nulla di anomalo, insieme ad un altro ragazzo di Pachino. Questo ragazzo,con cui avevo diviso i giochi all'oratorio di San Corrado, superata senza problemi la visita è partito per la ferma di ruolo di ventiquattro mesi si fermò come volontario sottoufficiale della nostra Marina Militare. E da allora che non lo rivedo. Ma il luogo che meritava e dava belle sensazioni era la zona attorno alla Fonte Aretusa. La fossa con i suoi rigogliosi papiri e i suoi pesci erano sicuro ristoro alle tue bizzose ricerche. Dove un piccolo branco di cefali si muovevano nell'acqua armoniosi e flessuosi e pesci rossi sfreccianti ed in gara per catturare i pezzetti di pane che gli astanti gettavano nell'acqua. Mentre anche le papere, che gironzolavano come piccoli rimorchiatori, facevano a gara con entrambi per assicurarsi il boccone. Colombi e passeri a contorno facevano di questo antico luogo un piccolo paradiso, mentre l'acqua della fonte si versava fuente verso il mare, stupendamente azzurro. Poi scendevi per la stradella pedonale, in leggera discesa, che porta alla piazzetta ombrosa contornata da antichi ficus che per la vecchiaia come quelli di porta marina a Palermo si sono dotati di legnosi bastoni per sorreggere le loro stanche membra di giganti arborei. Quelle foglie quel verde bottiglia mi rimandavano agli alberi della piazza di Pachino. Era la nostalgia, anche nella breve distanza, intensa per quel senso di solitudine che ti dava un posto dove al tempo avevi solo gli amici che erano i compagni di scuola, contrapposto ai pomeriggi intensi di gioco che potevi fare a San Corrado o al campo sportivo di Pachino... Mi inoltravo per quel bel posto che è la riviera di Marina dove al tempo erano ormeggiate barche turistiche che si riconoscevano dalle bandiere nazionali messe a bella vista. Guardavo lo scafo ed ogni dettaglio di quelle bellissime barche e poi quando nel tardo pomeriggio si alzava un leggero vento di ponente sentivi le sartie emettere il tipico suono lattoso mentre il mare leggermente increspato era diventato d'argento. Poi, oltre, l'attracco delle grandi navi, passeggeri, mentre i cargo si vedevano da lontano ancorati nel molo di Zanagora proprio di fronte a Porta Marina e poi i grandi mercantili ancorati al molo di Sant Antonio. In quel tratto di molo, dove l'acqua è profondissima, mentre vicino ai singoli puntoni d'ormeggio, vecchietti si dilettavano e si dilettano, lo vedo dalla telecamere, con cimette e ami dove collocavano delle palline di mollica di pane mista a pesce azzurro con una mistura che era un piccolo segreto. Calavano e calano le loro cimette in quel mare azzurro con tracce evidenti di aloni di gasolio. Che come una quinta invisibile, ma visibile, stendevano un foglio trasparente su quel mare. L'effetto di una catarratta all'occhio umano... Poi il giovedì, di ogni settimana, arrivava la nave passeggeri bianca che svolgeva servizio di linea tra Siracusa e la Valletta della isola di Malta. Allora era una festa....Osservavo ogni particolare di quella grande nave che potevo vedere da vicino e quasi toccare.Abituato com'ero a vederle da lontano quando mi mettevo in postazione con il mio binocolo nella torretta di avvistamento che mi ero costruito a Bonpalazzo, dove studiavo, fra l'altro, un sistema eolico fatto con una ruota di bicicletta con apposito dinamo per vedere come potere dare un piccolo punto luce di segnalazione alla mia postazione da bambino che si era nominato capitano e uffiale di vedetta . Gli oblo, i ponti, le enormi ciminiere, che rilasciavano se pur ferma un leggero filo di fumo, la linea di galleggiamento ed ogni particolare utile per poterla poi disegnare.... Paffute nuvole boteriane incipriate di un rosa lieve e profumato passano all'orizzonte come colombe della pace.... continua.....

Pachino

Il fluente traffico della Dizengoff sovrasta ogni parola del cum versar mentre donne provenienti dal kibbuz del Carmel si scambiano un suadente caldo shalom...Bambini arabi corrono felici nel campo del sintetico della Sales, mentre campane a festa annunciano l'avvento...Megafoni amplificano la voce dello speaker che taglia e irrora di un baccanoso gracchiare l'aria frescolina della sera, mentre le luci fanno brillare i ciuffi sintetici del rettangolo di gioco... Bambine multicolori giocano a palla imitando i maschietti e perdendo così tutta la loro femminilità, mentre un uomo vestito interamente di viola spinge un carretto pieno di palloni..Ragazzi cileni e peruviani palleggiano, mentre altri giovani dello Sri Lanka e indiani si scambiano veloci la palla da basket..Il solito gruppetto di ragazzi magrebini corre inseguendosi e gridando Jallah Jallah...mentre infilo il portone laterale della chiesa dove è stato impiantato un sistema di riscaldamento ad infrarossi. Una voce monotona ripete le preghiere della sera, mentre mi accingo ad allontanarmi dalla religione immergendomi come mi capita, di tanto in tanto, nella lettura di un brano della bibbia...

Pachino Promontorio

La costode della reggia madre che corre veloce nella campagna in fiore tra muri a secco cavalcate da lucertole e svolazzanti farfalle multicolori che inzuppano la loro bocca nel cavo della acerba campanellina gialla.
Fili d'erba colta e musciante come una onda di mare salato offre il palato a quei reconditi occhi che suppano come ventose quello che la circonda.Vento guizzoso e fremulo fà vibrare le cime degli olivi che spogli dalle loro foglie ogivali riscaldano i loro rami spogli baciati da quel sole intenso di gennaio...